La costituzione di società all’estero da parte di contribuenti italiani da avventura entusiasmante può trasformarsi in un incubo fiscale. Gli imprenditori sono focalizzati sull’investimento, sulle opportunità che offre il mercato dello Stato estero in cui viene creata la società, sulle possibili sinergie. Ed è questo che devono fare. L’imprenditore ha il “senso degli affari” e non può essere delegato ad altri. Anche nel costituire una società all’estero rischia meno l’imprenditore che si limita a fare il suo lavoro. Non può sottovalutare altri aspetti “organizzativi” della sua attività, né può considerarsi un tuttologo. Un bravo imprenditore è chi sa fare le domande giuste alle persone giuste.
In questo post comincio a raccontarvi le domande che mi hanno posto i miei clienti.
Fattori che determinano la scelta del paese dove costituire la società
La costituzione di una società estera (produttiva o commerciale) è un passo importante per un’impresa. È una grande opportunità di creare nuovi rapporti economici, di conoscere culture differenti dalla nostra.
Costituire la società è l’ultimo anello di una catena di valutazioni: gestionali, finanziarie, bancarie ecc.
Esiste anche l’aspetto fiscale e l’imprenditore accorto che vuole espandere la propria attività all’estero sa che la domanda più importante non è:
“Quanto risparmio di tasse?”.
Questa non è la domanda, a mio avviso, decisiva per scegliere dove costituire una società.
Si sceglie un determinato Stato per svariati motivi:
- la capacità della manovalanza;
- l’esistenza di servizi e di infrastrutture efficienti;
- una pubblica amministrazione agile;
e così via.
Certo, il regime impositivo influisce sulla decisione, ma non è il primo fattore, né l’unico.
Ad esempio, nessuno deciderebbe di costituire una società di uno Stato che ha aliquota fiscale sugli utili d’impresa vicina allo zero e, al contempo, strade dissestate, reti internet obsolete, assistenza sanitaria insufficiente.
Se costituisco una società in Austria, quando rischio l’esterovestizione?
Ecco qualche domanda che mi sono sentita fare dagli imprenditori.
Se costituisco una società in Austria, quando rischio l’esterovestizione?
Il rischio di esterovestizione non è sempre percepito dall’imprenditore che sta pianificando di costituire una società estera. A volte, durante la riunione, sono io che sollecito una riflessione sull’esterovestizione.
Soprattutto, dopo che il mio cliente mi ha spiegato come intende organizzare il lavoro della società estera.
L’esterovestizione è la contestazione che può essere fatta dall’Agenzia delle Entrate o dalla Guardia di Finanza sulla natura estera della società.
Cerco di spiegare in termini non tecnici e ne chiedo scusa, fin d’ora, a qualche Collega o commercialista che dovesse leggere questo post.
In termini comprensibili la società costituita in Austria, per rimanere nell’esempio, può essere considerata, in realtà, fiscalmente residente in Italia.
Si mette un vestito estero ad una realtà italiana.
A cosa l’imprenditore deve fare attenzione per evitare questa contestazione?
A tutti quegli elementi di fatto che possono far concludere che la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale dell’attività sono svolti in Italia.
Un esempio di esterovestizione
Faccio un esempio di sede amministrativa in Italia.
La sede legale è a Innsbruck, ma le decisioni strategiche vengono prese in Italia.
In base a quale elemento l’Agenzia delle Entrate può contestare all’imprenditore che le decisioni strategiche vengono prese in Italia?
Immaginiamo che la società è composta da un consiglio di amministrazione, di cui non fa parte l’imprenditore.
L’imprenditore dell’esempio ha scelto delle persone di sua fiducia perchè si occupino della strategia e dello sviluppo della società austriaca.
Sono persone di estrazione tecnica e tutte risiedono a Innsbruck e Monaco, ma l’imprenditore intende fissare il luogo delle riunioni mensili a Bologna, dove ha la residenza.
Questo è il mezzo con cui l’imprenditore tiene sotto controllo l’attività del consiglio di amministrazione.
“Cosa ne pensa avvocato?”
Già prima di questa domanda ingenua penso che il cliente è fortunato ad essersi rivolto ad un avvocato tributarista.
Ancor prima: è fortunato ad essere umile e conoscere i propri limiti.
Alla domanda rispondo che il progetto descritto dal mio cliente pavimenta la strada dell’esterovestizione.
È come se si fosse accesa un’insegna luminosa:
“Società esterovestita: venitemi a controllare!”
Il progetto va modificato senza meno.
Le bucce di banane dell’esterovestizione
Questo esempio mi serve anche per sottolineare ciò che succede in modo ricorrente.
Realtà che effettivamente lavorano all’estero, con dipendenti, uffici, banche, rischiano una verifica fiscale sull’esterovestizione solo perchè sono scivolate su una “buccia di banana”.
Nel prossimo post sull’esterovestizione societaria vi spiegherò che non basta che il consiglio di amministrazione si riunisca all’estero se l’oggetto dell’attività viene svolto in Italia.
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