Nella fase 1 dell’emergenza Covid-19 e forse ancora oggi (fase 3?) alcune funzioni aziendali sono svolte da remoto. Questo vale, a maggior ragione, per le attività svolte dalla dirigenza e dal management.
Non si tratta, evidentemente, di una decisione, piuttosto di un rimedio, che si auspica temporaneo. Le società italiane con amministratori esteri o le società estere con amministratori italiani che si trovano in una situazione del genere quali rischi corrono? Possono esserci dei rimedi?
La residenza fiscale è una scelta del contribuente
La residenza fiscale delle società è individuata dall’articolo 73, comma 3, DPR 917/86 che indica i criteri per capire quando una società è fiscalmente residente in Italia.
I parametri sono:
- sede legale;
- sede dell’amministrazione;
- oggetto principale dell’attività svolto in Italia.
Prima della pandemia la residenza fiscale era una scelta della società contribuente.
Nella maggior parte dei casi, una scelta scontata: i soci sono italiani e decidono di intraprendere una nuova attività in Italia.
È ovvio che la sede legale della società sia in Italia, così come quella dell’amministrazione, così come lo svolgimento dell’attività avvenga in Italia.
Riassumendo, ripeto che la residenza fiscale è una scelta del contribuente.
Residenza fiscale: le cause di forza maggiore
Possono esservi situazioni, definibili in modo atecnico, come “forza maggiore” che impediscono la fisiologica attuazione della scelta.
Mi spiego.
Il Covid-19 è un evento che non dipende dalla volontà dei soci e che ha modificato l’organizzazione aziendale.
Cosa succede, ad esempio, ad una società fiscalmente residente in Italia, con degli amministratori stranieri?
Gli amministratori vengono in Italia per le riunioni del Consiglio di amministrazione e per seguire specifici settori a loro delegati, poi tornano nello Stato dove sono fiscalmente residenti.
Per effetto del Covid-19 i trasferimenti da uno Stato all’altro sono interrotti.
Le riunioni del Consiglio di amministrazione non si possono più svolgere in Italia.
Lo stesso vale per le singole attività di management.
Applicando l’articolo 73, comma 3, DPR 917/86 la società conserva la residenza fiscale in Italia, avendo nel nostro paese la sede legale.
Tuttavia, possiamo chiederci se non si crei un problema di doppia residenza fiscale.
La società può essere considerata fiscalmente residente anche nello Stato estero dei propri amministratori?
Ritengo che un appiglio possibile sia l’approfondimento della “forza maggiore”.
Cosa intendo?
Le norme sono pensate per situazioni fisiologiche
Le norme, sia dei singoli Stati, come il DPR 917/86, sia convenzionali (Modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni) sono pensate per situazioni fisiologiche.
In situazioni eccezionali, come quella dovuta al Covid-19, le norme sulle residenza fiscale devono essere adattate.
L’avvocato tributarista, chiamato ad interpretare le norme sulla residenza fiscale, dovrà verificare la situazione della società.
In particolare, dovrà, in base alla documentazione fornita dalla società, capire se esistono gli estremi per applicare la “forza maggiore”.
Consulenza preventiva con un avvocato tributarista
Credo che la soluzione migliore per le società che si trovano in situazioni che possono creare problemi di doppia residenza fiscale sia quella della consulenza preventiva.
Consulenza preventiva nel caso del Covid-19 è quella in itinere.
Ancora oggi le società stanno prorogando le modifiche organizzative già adottate.
Sono ancora in tempo per far analizzare la propria situazione, per capire se e come possa essere migliorata la prova dell’esistenza della “forza maggiore”.
La consulenza preventiva di un avvocato tributarista è la migliore soluzione al problema della doppia residenza fiscale delle società.
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